Ho sempre sostenuto che il nostro Paese non ha il “vizio” della memoria. E parliamo di energia nucleare prospettata dal Governo, con il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, e, soprattutto dagli Industriali, come la panacea che risolverà i problemi dei cambiamenti climatici.
Dimenticano Chernobyl, Fukushima, la terribile eredità delle scorie nucleari, il cui stoccaggio, che dovrebbe durare centinaia di migliaia di anni, almeno con le ancora scarse conoscenze scientifiche di oggi, in luoghi sotterranei che oggi potrebbero sembrare anche sicuri, ma che sicuri non sono perché la Terra è in continuo movimento.
“Sotto la pressione delle rocce – scrive Il premio Nobel Carlo Rubbia - a migliaia di anni da oggi, dimenticate dalle generazioni a venire, le scorie potrebbero spezzarsi o essere assorbite da un cambiamento geologico che trasformi una zona da secca in umida, entrare quindi nelle acque e andare lontano a contaminare l'uomo attraverso la catena alimentare. A mio parere queste scorie rappresentano delle bombe ritardate. Le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente. “
E ancora ci presentano l’energia nucleare come pulita, sicura e economica. Ma nessuno parla dell’assenza strategica del deposito nazionale, anche se il Ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, avrebbe trovato la soluzione: tre depositi invece di uno solo, uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud, tanto per scontentare tutti. Il Ministro ha necessità di accelerare i tempi. A questo proposito, bisogna precisare che il 24 novembre 2006 era stato firmato, tra Italia e Francia, l’Accordo di Lucca con il quale Parigi si impegnava a ritirare dall’Italia 235 tonnellate di combustibile nucleare esaurito (Caorso -190 tonnellate, Trino- 32 tonnellate e Garigliano- 13 tonnellate) entro il 2015, mentre l’Italia assicurava che i lavori di costruzione del Deposito Nazionale sarebbero iniziati nel 2021 per essere conclusi nel 2024. L’impegno italiano non fu rispettato il che spiega la permanenza delle 63 barre del Garigliano ancora nel deposito Avogadro di Saluggia. Riguardo alle scorie stoccate in UK, gli accordi prevedono che i vetri radioattivi saranno là conservati fino alla realizzazione del Complesso Stoccaggio Alta attività del Deposito Nazionale. Cioè accanto al deposito nazionale per i rifiuti a bassa e media attività , viene costruito un deposito superficiale per stoccarvi quelli ad alta attività .
Nessuno parla della situazione attuale nei Paesi che ancora sfruttano l’energia nucleare; dei tempi che occorrerebbero per realizzare nuovi impianti ( tempi in palese contraddizione con quelli occorrenti per combattere la crisi climatica); dei costi; la dipendenza della materia prima, l’uranio, dall’estero; dell’acqua necessaria per il raffreddamento; della struttura geomorfologica del nostro Paese; e last but not least, delle scorie (ogni anno spendiamo diversi milioni per il riprocessamento all’estero delle barre che dovrebbero tornare in Italia entro il 2025 nei cosiddetti vetri radioattivi , ad alta intensità ).
Veniamo al punto, parliamo della situazione attuale degli impianti nucleari esistenti e dei vari modelli che ci presentano. Le centrali esistenti, la cui vita viene prolungata non senza rischi, hanno una età che supera i 30 anni, quindi sono in gran parte obsolete.
Finora era stato decantato il modello EPR 1: I costi insostenibili di tali impianti hanno portato al fallimento sia la francese Areva, sia la Toshiba-Westinghouse nel 2017 e, a proposito di tempi, l’EPR in costruzione a Flamanville, in Francia, sarebbe dovuto entrare in funzione nel 2012, oggi, settembre 2024, sembrava che finalmente si fosse arrivati a spingere il bottone di accensione, ma l’impianto è andato in spegnimento automatico, forse per un errore umano. Tutti questi ritardi hanno pesato, naturalmente, sui costi: dai 3,3 mld di euro preventivati nel 2006, si è arrivati a 13,2 mld che, considerando gli oneri finanziari, salirebbero a 19 mld.
Gli EPR 2 non esistono ancora.
Si insiste molto sugli SMR (Small Nuclear Reactors) ossia piccoli reattori modulari con taglie fino a 300 MW. Per produrre la stessa quantità di energia di un EPR (1650 MW) bisognerebbe costruirne sei se non di più. In esercizio al momento solo tre impianti, di cui uno senza produzione di elettricità e si tratta di una linea di sviluppo già avviata nel secolo scorso. Un’analisi di quanti SMR occorrerebbero per diventare economicamente competitivi con il nucleare convenzionale, è dell’ordine di almeno diverse centinaia se non qualche migliaio. Inoltre, la principale startup americana impegnata nello sviluppo degli SMR, non solo non è riuscita in 16 anni a costruire il primo prototipo, ma ha abbandonato il progetto e lo scorso novembre è stata chiamata in causa con una class action dagli investitori per dichiarazioni sociali false. Peraltro, il progetto generale non ha ancora superato l’analisi di sicurezza del regolatore nucleare statunitense.
L’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti ha analizzato le diverse tipologie di SMR proposti e ha concluso che, in termini di produzione di rifiuti nucleari, i piccoli reattori ne produrrebbero da almeno il doppio a 30 volte. Alle stesse conclusioni è arrivato un rapporto commissionato dall’Agenzia federale tedesca per la gestione dei rifiuti nucleari (BASE) secondo cui i possibili vantaggi di riduzione dei SMR – anche quelli di IV generazione – dei rifiuti ad alta attività si tradurrebbero in un aumento del volume di rifiuti a basse e media attività , mentre per portare la sicurezza dei progetti di SMR ai livelli dei reattori commerciali sono necessari molti investimenti in Ricerca e Sviluppo.
IL NUCLEARE DI IV GENERAZIONE ( LFR)
Lanciato nell’anno 2000, non ha ancora raggiunto la maturità industriale, tranne due prototipi cinesi, entrati in funzione nel 2022. In Italia si parla di reattori raffreddati a piombo-bismuto che presentano diversi problemi irrisolti. Tra questi, la difficoltà di reperire il bismuto che è raro e costoso. Un LFR richiederebbe centinaia di tonnellate di bismuto. La combinazione piombo-bismuto produce una considerevole quantità di polonio, un isotopo altamente radioattivo.
Si parla ancora di FUSIONE NUCLEARE, ma nonostante i proclami di una sua realizzazione ormai vicina, c’è chi, come l’ex direttore del prototipo Iter, Bernard Bigot, scomparso nel 2022, afferma che non sarà disponibile prima del 2060.
Per l’IDROGENO come combustibile, si è ancora in fase di studio, ma solo per l’idrogeno verde, derivante da fonti energetiche rinnovabili. Ne riparleremo