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Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi


La crisi al buio avviata da Renzi, ha interrotto anche il lungo iter riguardante il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Per questa ragione, credo, è stato presentato un emendamento al Milleproroghe  che consente,  agli enti locali interessati, di presentare osservazioni sulla mappa delle aree potenzialmente idonee per la collocazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. non più in 60 ma in 180 giorni. Ancora una volta bisogna sottolineare che di tanti governi e ministri che si sono alternati alla guida del Paese almeno dal 2014 in avanti, solo il Ministro Sergio Costa, non riconfermato, ha avuto il coraggio di autorizzare la pubblicazione della Cnapi, ossia l’elenco dei siti potenzialmente idonei, rispettando tutte le limitazioni imposte da ISPRA. .(aree vulcaniche attive o quiescenti, sismicità elevata, fenomeni di fagliazione, pericolosità geomorfologica e/o idraulica, presenza di depositi alluvionali di età olocenica, ubicazione ad altitudine maggiore di 700m s.l.m., pendenza maggiore del 10 %, sino alla distanza di 5 km dalla linea di costa, aree naturali protette,adeguata distanza dai centri abitati, distanza non inferiori a 1 km da autostrade, strade principali, ferrovie, presenza di risorse del sottosuolo, presenza di attività industriali, poligoni di tiro, dighe e sbarramenti idraulici)

La storia del deposito nazionale non è affatto secondaria, né da sottostimare, per una serie di motivi. Il primo da ricordare: in Italia ci sono più di venti siti nei quali sono stoccati, non sempre in sicurezza, i rifiuti radioattivi. In molti di questi siti, tra i quali le quattro centrali nucleari di Garigliano, Trino Vercellese, Latina e Caorso, per poter continuare le operazioni di decommissioning, o smantellamento, la Sogin ha costruito depositi cosiddetti “temporanei” che tali non sono e non sono stati, almeno finora, per potervi stoccare rifiuti di varia intensità. Questi edifici sono stati costruiti con l’obiettivo di una durata non superiore ai 50 anni perché, in previsione del trasferimento al deposito nazionale,devono essere abbattuti affinchè il sito ritorni a green field ossia prato verde libero da vincoli radiologici. Naturalmente ciò presuppone consumo di suolo pubblico e investimenti finanziari di non poco conto, cioè soldi nostri, dei cittadini. In alcuni di questi siti  c’è anche la spada di Damocle delle alluvioni, come è ripetutamente accaduto al Garigliano e a Trino Vercellese e Saluggia (in quest’ultimo sito sono stoccati l’80% dei rifiuti)con il pericolo,in quest’ultimo,  di inquinare la Dora Baltea e l’acquedotto di Monferrato nel quale sono consorziati 101 comuni appartenenti alle province di Asti, Alessandria, Torino, su un territorio di circa 1.200 chilometri quadrati.

L’altro motivo importante è la quantità di tali rifiuti, radioattivi,  provenienti,  tra l'altro,  dal mondo civile, industriale, della ricerca o medico ospedaliero, dato che si tratta per esempio di  sostanze radioattive usate per la diagnosi clinica, per le terapie anti tumorali e altre. Complessivamente 31.027,3 metri cubi che continuano a aumentare quotidianamente (destinati a triplicarsi anche in prospettiva per l’ultimazione dei vari lavori di decommissioning e bonifica), che vengono smaltiti non si sa dove, magari nei sotterranei degli ospedali o chissà dove altro, con rilevanti rischi per la pubblica salute.

Insomma è giusto che comuni, province, regioni inclusi nelle aree ritenute idonee per il deposito nazionale, studino a fondo e presentino tutte le osservazioni relative. Ma è anche vero che questo problema  non potrà essere ancora portato avanti senza soluzione di continuità. Nessun sito è stato individuato in Campania perché è terra vulcanica, sismica e, soprattutto, fragilissima dal punto di vista geomorfologico e idrogeologico.

Alla fine, se non ci saranno spontanee manifestazioni di interesse a costruire il deposito nazionale nel proprio territorio, sarà il Governo a decidere, salvaguardando tutti i criteri legati alle peculiarità dell’area scelta.