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A PROPOSITO DEL RINNOVATO INTENTO DI RITORNO ALL’ENERGIA NUCLEARE




Ecco! Ci risiamo! La fissione è proprio un chiodo fisso per i governi di destra, da Berlusconi nel 2009 alla Meloni. La maggioranza di governo italiana, con due mozioni congiunte approvate dalla Camera, con l’adesione anche di Azione e di Italia Viva, è decisa a tornare all’atomo, per decarbonizzare l’Italia. iniziando a produrre energia già dal 2030, cioè in appena sette anni, in una visione troppo ottimistica, mentre la Germania chiude gli ultimi tre impianti nucleari, con una proposta del relatore tedesco Ehler al regolamento presentato dalla Commissione Ue di esclusione del nucleare, il cosiddetto “Net Zero Industry Act” (Nzia). Le opzioni sarebbero rivolte a centrali di quarta generazione molto grandi; alla fusione nucleare pronta, se è vero, non prima del 2050; e, soprattutto, a centrali di piccola taglia, come l’SMR (Small Modular Reactor) sempre con la produzione di scorie radioattive. Ma se pensiamo alla attuale situazione finanziaria del nostro Paese, già da incubo, nonché a tutte le opere che da decenni hanno bisogno di manutenzione per non crollare - ponti, viadotti, gallerie - oltre ai gravissimi danni prodotti da alluvioni, terremoti, siccità, che richiedono investimenti di decine di miliardi, diventa azzardato investire altri miliardi in una energia che gli italiani hanno bocciato in ben due referendum, nel 1986 e nel 2011. Quali ragioni, oltre al pesante fardello economico, rendono impossibile la installazione di muovi impianti: la sismicità del suolo italiano con faglie in continuo movimento; fragilità idrogeologica; penuria di acqua conseguente ai cambiamenti climatici e allo scioglimento dei ghiacciai; instabilità geopolitica soprattutto sul fronte africano affacciato sul Mediterraneo e nel vicino Oriente; lunghi tempi di costruzione che non ci permetterebbe di attivare gli obiettivi della Cop 21 di Parigi e dell’Agenda 2030. Tutto questo in un Paese che non riesce a smaltire le scorie ad alta attività, inviate, per il recupero, in altre nazioni – Francia, Inghilterra, Slovacchia – né a costruire il Deposito Nazionale per lo smaltimento di rifiuti a bassa e media attività derivanti dallo smantellamento totale delle centrali nucleari, nonché da quelli derivanti da ricerca scientifica, industria, attività ospedaliere. Dovremo far ricorso a un nuovo referendum?

IN PASSATO: Berlusconi, con il decreto legge n.112 del 25 giugno del 2008, convertito in legge nel 2009, rilanciò il programma di ritorno al nucleare. Nel 2009 il presidente francese Sarkozy e il presidente italiano Berlusconi, con la protezione della potente industria nucleare francese AREVA, firmarono a Roma l'accordo intergovernativo accompagnato da due memorandum of understanding tra i due gruppi elettrici Enel e Edf che prevedevano la costruzione da parte francese di 4 centrali nucleari in territorio italiano e il rafforzamento della presenza di Enel sul territorio francese, in particolare nella costruzione delle centrali nucleari EPR, simbolo del cosiddetto "runascimento nucleare", (European Pressurized Reactor – reattore ad acqua pressurizzata) di Flamanville e di Penly. Naturalmente tutto il governo e il Parlamento, con maggioranza bulgara di berlusconiani, si dissero entusiasti di questo ritorno al passato il ministro Scajola ne fu il più accanito sostenitore, e propose in tal senso di costruire dieci nuovi reattori,. Il governatore delle Campania, Caldoro, adottò addirittura il Pimby: please in my backyard. Dopo l’approvazione del Ddl Sviluppo, anche gli imprenditori campani erano pronti a investire nel nucleare. Ad annunciarlo fu Giovanni Lettieri, presidente di Confindustria Napoli, che, sostenuto dall’on. Adolfo Urso, si disse pronto a partire con l’energia nucleare in Campania, affermando che “quella del nucleare è una scelta nel segno dell’abbattimento dei costi per l’energia e l’unico modo per superare in tempi rapidi il gap energetico della Regione”. Entrambi poi parlavano di partire con la produzione nelle centrali già esistenti e poi dismesse mentre Lettieri ricordava – segno che non era molto informato sui problemi legati alla centrale del Garigliano – “C’è uno stabilimento sul Garigliano che potrebbe essere attivato in tempi rapidi”. Quando sosteneva che il nucleare fosse l’unico modo per superare in tempi rapidi il gap energetico della Campania, forse si riferiva ai circa 15 anni occorrenti perché entri in funzione una centrale EPR. Ignorava anche che la centrale vecchia non poteva essere riattivata, tanto meno in tempi rapidi, perché la stessa era stata costruita, inizi anni ’60, senza criteri antisismici e la portata del Garigliano è insufficiente a raffreddare una centrale Epr da 1.600 MW.( occorrono 100mila litri di acqua al secondo, come affermato da Areva). Lo stesso tipo di impianto costruito in Finlandia, ha iniziato a produrre energia con ben 18 anni di ritardo, dall'avvio della sua realizzazione  del 2005, all’entrata in funzione nel mese di aprile del  2023, e con costi passati da una previsione di 3,3 miliardi a 10,9 miliardi.